L’ESPERIENZA DI MOLINARO, DALLA FASCIA ALLA CATTEDRA: “LO SPORT PUO’ AIUTARE A DIVENTARE UOMINI MIGLIORI”

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FROSINONE – Quinto appuntamento stagionale della seconda edizione dell’iniziativa ‘Il Frosinone sale in cattedra’, inserito nel progetto Experience Frosinone. Il club giallazzurro, rappresentato per l’occasione dal difensore Cristian Molinaro, ha fatto tappa nel capoluogo, presso l’Istituto Comprensivo 2 – Scuola media ‘Pietrobono, nel quartiere Stazione dove già lo scorso anno ci fu la presenza del centrocampista Paolo Sammarco. Nell’aula magna dell’Istituto, presenti 130 alunni della Classe terza con l’intero corpo insegnanti e la preside, professoressa Mara Bufalini.

Ad affiancare il calciatore, come cliché ormai consolidato, il responsabile dei progetti per il Frosinone Giuseppe Capozzoli, il Primo Dirigente della Questura di Frosinone dottoressa Antonella Chiapparelli e per l’Università di Cassino la dottoressa Marika Gimini.

La presenza di Molinaro ha suscitato grande interesse, il calciatore campano, forte della sua vasta esperienza anche in campo internazionale, è stato bravissimo ad affrontare la platea di alunni che lo hanno ascoltato quasi in religioso silenzio durante il suo intervento. “Ringrazio la direttrice per l’invito e il Frosinone per avermi dato questa possibilità – ha esordito Molinaro -. Non è la prima volta che mi trovo davanti a ragazzi così giovani, la vostra è un’età molto particolare. Più che focalizzarmi su quella che è stata la mia carriera, è evidente che la giornata di oggi, di fronte a voi, è da improntare su quella che è stata la mia esperienza al di fuori dell’ambito prettamente calcistico. Il mio approccio al calcio è arrivato più per caso che per vera passione. Mio padre aveva già due figli che giocavano nella sua Scuola Calcio, io ero un po’ la mascotte di famiglia e della Scuola calcio stessa dove allenava di mio padre. Poi il calcio è diventato un impegno maggiore più o meno alla vostra età. Ma il motivo che ha dato il là alla mia scelta di fare sport e diventare calciatore è stata quella di condividere quel tipo di esperienze con gli altri ragazzi. Dovete sapere che io arrivo da un paesino dio 2.000 abitanti. L’unico modo per socializzare era quello. Pensate che non avevamo nemmeno un oratorio per poterci esprimere con un pallone tra i piedi. C’era la Scuola calcio e quello era il motivo unico di aggregazione. A quei tempi, considerate che ho 36 anni, i social e le altre ‘strade’ per socializzare non esistevano. Bisognava mescolarsi sui campetti. E coì ho mosso i primi passi verso quello che sarebbe diventato il mio lavoro, la mia professione”.

Molinaro racconta la sua crescita, l’approccio al calcio, i primi passi, le difficoltà e la soddisfazione di aver visto coniugate le sue aspettative e quelle dei suoi genitori. “La prima svolta fu il mio arrivo nelle giovanili della Salernitana. Però anche in quel caso debbo dare atto ai miei genitori che mi hanno sempre stimolato e sostenuto negli studi. Per loro al primo posto c’era l’educazione e l’istruzione. Dovevo realizzarmi prima a livello scolastico e poi sportivo. Per loro fu una scelta difficile mandarmi a Salerno da un paesino di provincia, ma quel passaggio mi ha aiutato a crescere tantissimo. Mi sono adattato e questa cosa mi ha temprato il carattere. Nel modo di approcciarmi allo sport e nella vita di ogni giorno. La voglia di stare insieme agli altri mi ha poi aiutato nella crescita e da adulto, anche nella professione di calciatore. E da lì poi è arrivata la svolta nella maggiore età: grazie all’impegno a scuola e quindi sui campi di gioco e di nuovo a casa a studiare. Tutto questo mi ha consentito di provarci seriamente”.

“La realtà – prosegue Molinaro – è che lo sport non deve essere preso mai come obiettivo di vita ma deve essere inteso essenzialmente come motivo di aggregazione, di avere la possibilità di conoscere gente. Poi ci sono delle congiunture astrali che ti consentono di affrontarlo come lavoro. Durante il mio percorso ho dovuto affrontare esperienze di vita che mi hanno aiutato ad avere una corazza ancora più forte, fondamentale nella mia crescita come uomo. E l’aspetto che mi ha consentito di essere uomo forte è il fatto di aver avuto un’adolescenza con regole precise: studiare a scuola, andare al campo ad allenarmi, poi studiare ancora a casa e riposarmi per affrontare con freschezza il giorno successivo. E quindi la scuola unita allo sport mi ha consentito di diventare uomo in anticipo. Quando vai ad affrontare una esperienza come la mia e di tanti calciatori inevitabilmente devi maturare prima. Al di là di quello che vedete sui social e in tv, noi siamo pur sempre degli uomini. Io sono marito e padre e la cosa più importante è restare uomini veri. Quello che cerco di trasmettere a mio figlio, anche attraverso quello che faccio sul campo, è cercare di aiutarlo nella sua crescita. Adesso è piccolo, quando crescerà spero che riuscirà a seguire l’indirizzo che gli stiamo dando io e mia moglie. Il messaggio che mi permetto di lanciare è questo: lo sport può aiutare a diventare uomini migliori se affrontato in un certo modo”.

Grandi applausi per Molinaro che ha poi proseguito, raccontando anche aspetti della sua vita calcistica: “Un grande insegnamento durante la mia carriera l’ho avuto da calciatori dai quale pensavo di non avere quel tipo di spinta. Io dal Siena passai alla Juve, credevo sinceramente in un trasferimento traumatico. E invece è stato più leggero e morbido proprio perché ho trovato in quei fuoriclasse quella grande accoglienza che mi ha fatto sentire in una famiglia. Attraverso ad esempio l’atteggiamento negli spogliatoi e quindi sul campo. Quello che mi ha colpito è stato vedere determinate persone ed una intera Società che per poter raggiungere determinati obiettivi ha una umiltà di base che ti aiuta sempre a migliorare. Bellissima anche l’esperienza all’estero. Mio figlio è nato in Germania e mia moglie è rimasta innamorata di Stoccarda. Il loro approccio alla partita arriva da una cultura diversa. Loro vivono la settimana in maniera normale, la domenica che coincide con la partita è una giornata di festa. In Italia il calcio è vissuto in maniera passionale, anche qui a Frosinone. L’ho vissuto esattamente a Torino, allo stesso modo. In Germania non c’era questi topo di passione. Il tifosi va a godersi 90’ di spettacolo, i tifosi avversari che si mescolano, passeggiano. Cose che in Italia ancora non riusciamo a vedere. E’ quel cambio di marcia che dobbiamo ancora maturare qui da noi. Ma quel passaggio può essere un vettore importante per cercare di cambiare culturalmente il nostro calcio e la nostra mentalità”.

Quindi le domande dei ragazzi. Di tutti i tipi. Dalla sfida a Cristiano Ronaldo all’emozione dell’arrivo allo stadio come fosse sempre la prima volta, con quella sensazione che ti prende allo stomaco che Molinaro chiama simpaticamente ‘farfalle’. Ma anche domande molto tecniche a conferma che i ragazzini sono sempre più ‘dentro’ le cose di calcio che solo tifosi. Per finire alla ritrovata aggressività di un Frosinone che per salvarsi deve lasciare da parte il fioretto e impugnare la spada.

Giovanni Lanzi

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